CIRCOLARE 10/2018 – DECRETO DIGNITA’

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Fissati i requisiti dell’offerta di lavoro “congrua”

D.M. 10 aprile 2018

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 162 del 14 luglio 2018 il decreto 10 aprile 2018 con il quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali definisce l’offerta di lavoro congrua, ai sensi degli artt. 3 e 25 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150.

Nel dettaglio, si definisce l’offerta  di  lavoro  congrua  in base ai seguenti principi:

  • coerenza tra l’offerta di lavoro e le esperienze e  competenze maturate;
  • distanza  del  luogo  di  lavoro  dal  domicilio  e  tempi  di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico;
  • durata dello stato di disoccupazione.

Se il soggetto è percettore di un trattamento di sostegno al reddito l’entità della retribuzione dell’offerta deve essere, inoltre, almeno il 20% più alta dell’indennità nell’ultimo mese precedente.

La mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua comporta la decadenza dalle prestazioni di sostegno al reddito e dallo stato di disoccupazione, salvo giustificato motivo da comunicare e documentare entro due giorni dalla proposta dell’offerta di lavoro congrua.

 

DIRITTO DEL LAVORO

Pubblicato in GU il “Decreto Dignità”

D.L. 12 luglio 2018, n. 87

Nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2018, n. 161 è stato pubblicato il D.L. 12 luglio 2018, n. 87, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.”.

Il provvedimento che prevede norme più stringenti in merito a contratti a termine, delocalizzazioni, lotta al precariato e alla ludopatia, nonché semplificazioni fiscali, è entrato in vigore il 14 luglio 2018.

Le sue disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge stesso, nonché ai  rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data, restando invece esclusi i contratti  stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto.

In pratica viene rivisitata la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato: la loro durata complessiva scende da 36 a 24 mesi, con la possibilità di proroghe che passano da cinque a quattro. Il contratto può essere libero solo per i primi dodici mesi; al rinnovo successivo ritornano infatti le “causali”, ovvero gli imprenditori devono specificare le ragioni per le quali si intende proseguire quel contratto a tempo.

Sono due le fattispecie ammesse:

  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
  • necessità temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, o per necessità di sostituire altri lavoratori che magari sono in ferie.

La versione definitiva del testo del D.L. prevede che i contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle predette causali. Quindi, i lavoratori stagionali sono soggetti esclusivamente alle nuove norme riguardanti la durata massima dei contratti a termine, ma non a quelle che obbligano i datori di lavoro di indicare la “causale” che giustifica la ragione d’utilizzo di tale istituto.

Alla stretta sulle regole dei contratti a termine si unisce quella contributiva: ogni rinnovo, anche al di sotto dei 12 mesi, prevede che i contributi crescano dello 0,5% andando a sommarsi a quell’1,4% che dal 2012 (legge Fornero) finanzia la Naspi, la nuova indennità di disoccupazione.

Le novità del cd. decreto dignità in tema di contratti a termine e somministrazione

Il cd. decreto dignità è intervenuto, in maniera significativa, sulla disciplina dei contratti a tempo determinato, sulla somministrazione e sull’indennità risarcitoria in materia di licenziamenti illegittimi.

Con riferimento al contratto a tempo determinato, le novità insistono:

  • sull’aumento dell’aliquota contributiva in caso di rinnovo dopo il primo contratto;
  • sulla diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, intesi anche in sommatoria;
  • sull’introduzione delle causali, a partire dal 13° mese di utilizzazione del lavoratore, sia che si superi la soglia dell’anno in virtù di un contratto iniziale, di una proroga o di un rinnovo;
  • sull’ampliamento dei termini per la proposizione del ricorso giudiziario.

Una volta entrato in vigore il dettato normativo in specie, sarà possibile stipulare, con lo stesso lavoratore, contratti a termine per una durata massima complessiva di 24 mesi, ma con le seguenti specifiche:

  • i primi 12 mesi potranno essere stipulati senza specificare alcuna motivazione;
  • i successivi 12 mesi saranno ammessi esclusivamente a fronte di esigenze:

temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività e per esigenze sostitutive di altri lavoratori;

connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

  • in prima battuta è possibile stipulare un contratto superiore a 12 mesi – e comunque non oltre i 24 mesi – ma, in questo caso, dovrà essere indicata una delle causali sopra evidenziate.

Le proroghe previste all’interno dei contratti a termine scendono da 5 a 4 nell’arco dei 24 mesi, a prescindere dal numero di contratti. In caso di superamento di tale limite, il contratto si trasformerà a tempo indeterminato.

In caso di proroga del contratto dovranno essere specificate le esigenze (causali) che l’hanno consentita. È possibile prorogare liberamente il rapporto (senza specificare le causali) esclusivamente nei primi dodici mesi di contratto tra le parti.

La versione definitiva del testo del D.L. prevede, inoltre, che i contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle predette causali. Quindi, i lavoratori stagionali sono soggetti esclusivamente alle nuove norme riguardanti la durata massima dei contratti a termine, ma non a quelle che obbligano i datori di lavoro di indicare la “causale” che giustifica la ragione d’utilizzo di tale istituto.

In occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, la contribuzione addizionale della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, viene aumentata dello 0,5%.

Viene, infine, elevato da 120 a 180 giorni il termine entro il quale il lavoratore potrà impugnare – sempre con le modalità previste dall’art. 6, comma 1, legge n. 604/1966 – il contratto a tempo determinato cessato.

Per quanto attiene, invece, alle Agenzie di Somministrazione, il decreto dignità dispone che il rapporto di somministrazione a tempo determinato venga equiparato al rapporto di lavoro a tempo determinato. Ciò sta a significare che tutte le regole previste per il contratto a termine diretto vengono applicate anche ai rapporti in somministrazione, ad eccezione di quanto previsto per la percentuale massima di lavoratori a termine ed il diritto di precedenza.

Pertanto, verranno applicate anche ai rapporti in somministrazione le regole inerenti:

  • la durata massima, pari a 24 mesi (sommando rapporti a termine diretti ed in somministrazione);
  • lo stop & go;
  • il numero massimo di proroghe, pari a 4.

 

INPS, PRESTAZIONI

INPS: le nuove modalità operative dopo il “post Q.U.I.R.”

INPS, Messaggio 10 luglio 2018, n. 2791

L’INPS – con Messaggio del 10 luglio 2018, n. 2791 – ha ricordato che, a decorrere dal periodo di paga luglio 2018, cessa l’obbligo di erogazione della Qu.I.R. (possibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato – ad eccezione dei lavoratori domestici e di quelli del settore agricolo – con un rapporto di lavoro in essere da almeno 6 mesi, di richiedere al datore di lavoro la liquidazione della quota maturanda del trattamento di fine rapporto, sotto forma di integrazione della retribuzione mensile).

Pertanto, gli stessi datori di lavoro, dalle denunce di competenza luglio 2018, non saranno più tenuti all’assolvimento degli obblighi informativi e contributivi.

 

VIGILANZA SUL LAVORO

I chiarimenti dell’INL sulle nuove sanzioni ai datori di lavoro che erogano retribuzioni in contanti

Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota 4 luglio 2018, n. 5828

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro – con Nota 4 luglio 2018, prot. n. 5828 – ha fornito ulteriori chiarimenti sul divieto di retribuire i lavoratori in contanti dal 1° luglio u.s., precisando che la sanzione da € 1.000 ad € 5.000 deve essere calcolata tenendo conto del numero delle mensilità pagate, in violazione di quanto normato dall’art. 1, comma 910, legge n. 205/2017.

Al riguardo, l’INL ha precisato che, stante il fatto che nella maggior parte dei casi la retribuzione viene pagata con cadenza mensile, verranno applicate tante sanzioni quante sono le mensilità per cui si è protratto l’illecito (prescindendo, dunque, dal numero dei lavoratori coinvolti).

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